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Riduzione del risarcimento se non usi le cinture
Gli ermellini della III Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza nr 22351 del 4 novembre 2016 hanno stabilito che il mancato utilizzo degli obbligatori presidi di sicurezza, tra i quali le cinture, è considerato una concorsualità di colpa nella causazione delle conseguenze e pertanto riduce ex art 1227 l’intero risarcimento del danno. Peraltro, secondo i giudici di legittimità, bene hanno fatto i giudici di merito a ritenere che dal fatto noto che la vittima abbia patito ferite al volto, potesse risalirsi al fatto ignoto che non avesse allacciate le cinture di sicurezza, in virtù del rilievo che le stesse non potevano avere altra plausibile causa che l’impatto contro le parti interne dell’abitacolo, favorito dal mancato uso dei sistemi di ritenuta.
Di seguito il testo integrale della sentenza.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 8 giugno – 4 novembre 2016, n. 22351
Presidente Amendola – Relatore Rossetti
Svolgimento del processo
- Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione: “1. C. L. ha impugnato per cassazione la sentenza 12.9.2014 11. 1.440 della Come d appello di Firenze, con la quale tale Corte provvide sulla sua domanda di risarcimento del danno patito in conseguenza d’un sinistro stradale. 2. Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe violatogli artt 115 cp.c. e 2729 c.c., nella parte in cui le ha attribuito un concorso di colpa nella causazione del danno, consistito nell’omesso uso delle cinture di sicurezza 2.1. Il motivo è inammisibile, in quanto stabilire se la vittima di un illecito abbia o non abbia concorso a causarlo è un accertamento di fatto, come tale insindacabile in questa sede. 3. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe violato gli aie 1226 e 1227 c. c., della parte in cui ha quantificato il suo concorso di colpa nella misura del 15% “dell’intero danno’: L, i tesi della ricorrente è che, avendo l’omesso uso delle cinture concausato solo i danni al molto, esso non poteva comportare una riduzione del risarcimento dovuto per l danni agli arti inferiori 3.1. Il motivo è inifondato: sia perché sollecita da questa Corte il sindacato su un tipico giudizio di merito; sia perché la riduzione del risarcimento prevista dall’ari. 1227, comma 1, c.c., non può che applicarsi sull’ntero credito risarcitorio, che forma oggetto di una unica obbliga, ione. Stabilire, poi, quale debba essere il rapporto tra il pregiudizio concausato dalla vittima e il complessivo pregiudizio io da questa patito è, anche in tal caso, una valutazione di merito. 4. Col temo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’ari’. 12-26 c. c.. Deduce che la Core d’appello, pur disponendo di tutti gli elementi per liquidare in modo analitico il danno consistito nella necessità di dover sostenere delle spese in futuro per l’assistenza domestica e per le cure, l’ha liquidato in via equitativa, sottostimandolo. 4.1. Il motivo è infondato per come è stato proposto. La liquidazione del danno futuro, infatti, è per necessità tinta liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c.. Esso ii atti non può che fondarsi su ragionevoli probabilità, non su certezze, e dunque ne è impossibile la stima nel suo esatto ammontare. Violazione dell’ari. 1226 c. c. (che consente appunto la liquidazione equi lati va quando il danno non può essere liquidato nel suo esatto ammontare), dunque, non ri fu. Né è consentito a questa Corte, travalicando il contenuto oggettivo del ricorso, individuare d’ufficio ulteriori mende logiche o motivazionali nella sentenza impugnate. 5. Si propone pertanto il rigetto del ricorso: 2. Ambo le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c., con la quale hanno insistito nelle difese già svolte nel ricorso e nel controricorso. Motivi della decisione 3. Il Collegio condivide le osservazioni contenute nella relazione. Ritiene, invece, non decisive le contrarie osservazioni svolte dalla ricorrente nella propria memoria. 4. Con riferimento al primo motivo di ricorso, la ricorrente precisa di non avere voluto affatto censurare un accertamento di merito, ma di avere inteso dolersi del fatto che la Corte d’appello le abbia attribuito un concorso di colpa per omesso uso delle cinture in assenza di prove di tale circostanza di fatto, e sulla base di elementi presuntivi privi dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., violando di conseguenza anche l’art. 115 c.p.c.. Deve tuttavia in contrario osservarsi come violazione dell’art. 2729 c.c. potrebbe, in teoria, ammettersi, quando ad esempio il giudice di merito affermi che la prova presuntiva possa ricavarsi da indizi non gravi, non precisi o non concordanti; oppure quando ammetta una praesumptio de praesumpto, od ancora quando ricorra alla prova presuntiva nei casi in cui la legge vieti il ricorso ad essa (ad esempio, per provare l’adempimento dell’obbligazione). Ma la semplice valutazione degli indizi in un modo piuttosto che in un altro, così come l’attribuzione di valore ad alcuni indizi piuttosto che ad altri, costituiscono il proprium dell’accertamento di fatto demandato al giudice di merito, e non sono sindacabili in questa sede, a nulla rilevando che la prove ed indizi potessero essere valutati anche in altri e teoricamente più plausibili modi rispetto a quello prescelto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”). Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto che dal fatto noto che la vittima abbia patito ferite al volto, potesse risalirsi ex art. 2727 c.c. al fatto ignorato che non avesse allacciate le cinture di sicurezza, in virtù del rilievo che le ferite al volto non potevano avere altra plausibile causa che l’impatto contro le parti interne dell’abitacolo, favorito dal mancato uso dei sistemi di ritenuta (questo il limpido senso della motivazione di cui a p. 7 della sentenza impugnata). Pertanto, pur lamentando la violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2729 c.c., la ricorrente censura inammissibilmente un accertamento di fatto. 5. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, la ricorrente deduce nella propria memoria che col motivo in esame aveva prospettato due censure, una soltanto delle quali è stata presa in esame dalla relazione. _Aveva infatti lamentato: (a) sia la violazione dell’art. 1227 c.c., sul presupposto che non vi fosse prova del nesso di causa tra omesso uso delle cinture e le lesioni al volto; (b) sia la violazione dell’art. 1226 c.c.. Questa seconda violazione sussisteva, prosegue la ricorrente, perché stabilire quale sia la quota di danno concausata dalla vittima “non è rara a valutazione di merito (…), ma nana a valutazione tecnica e giuridica e come tale suscettibile di esame e censura anche in sede di legittimità” Pertanto avrebbe errato la Corte d’appello nel determinare “equitativamente” il concorso di colpa nella misura del 15%, giacché il ricorso all’equità non era nel caso di specie consentito (così la memoria, p. 5). 5.1. Nessuna delle suddette argomentazioni ha pregio. Non la prima, perché stabilire se una certa condotta abbia o non abbia causato un certo evento di danno è un tipico apprezzamento di fatto, non una valutazione in diritto: questa Corte ha infatti già ripetutamente affermato che mentre l’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., l’eventuale errore nell’individuazione delle conseguenze che sono derivate dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità se adeguatamente motivata (così Sez. 3, Sentenza n. 4439 del 25/02/2014, Rv. 630127; nello stesso senso, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 26997 del 07/12/2005, Rv. 587959). E nel caso di specie la ricorrente si duole giustappunto del giudizio circa le conseguenze dell’illecito, non certo della regola causale applicata (ad es. causalità adeguata, causalità umana, condicio sine qua non, ecc.). 5.2. Quanto alle altre osservazioni svolte nella memoria ad integrazione del ricorso, la ricorrente pare muovere da un equivoco di fondo: ovvero che, avendo il giudice di merito ritenuto concausate dalla vittima le sole lesioni al volto, quel giudice abbia quantificato tale concorso di colpa nella misura del 15°’0, sicché la relativa riduzione si sarebbe dovuta applicare al solo risarcimento del danno derivato dalle lesioni al volto. E’ una lettura distorta della sentenza di merito. Se l’omesso uso delle cinture causò le sole lesioni al volto, e non le altre, come ritenuto dal giudice di merito, è ovvio ed evidente che rispetto al solo danno al volto il concorso della vittima sarebbe dovuto essere del 100%. Sicché il giudice di merito, riducendo del 15% l’intero danno patito dalla vittima, ha evidentemente mostrato di tenere conto della circostanza che il concorso della vittima ha concausato una sola parte del danno. Se poi questa parte rispetto all’intero dovesse essere il 10, il 15 od il 50°% è questione non prospettabile in sede di legittimità. 6. Infine, con riferimento al terzo motivo di ricorso, la ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe errato nel liquidare il danno patrimoniale futuro perché, anziché avvalersi di “validi riferimenti oggettivi” acquisiti al giudizio ed indicati dal consulente d’ufficio, ha preferito prescindere del tutto da essi. Tale deduzione corrobora il giudizio di inammissibilità del motivo già espresso nella relazione: essa rende infatti palese che ciò di cui al ricorrente qui si duole è la scelta compiuta dal giudice di merito tra le varie prove disponibili: scelta che, in virtù della giurisprudenza già ricordata al § 4 della presente ordinanza, non può essere sindacata in sede di legittimità. 7. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo. 7.1. Il ricorso è stato proposto dopo il 30 gennaio 2013. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 mater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228). P.Q.M. la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.: (-) rigetta il ricorso; (-) condanna C. L. alla rifusione in favore di Allianz s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 5.600, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55; (-) (là atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di C. L. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.