• De iure condito

Ancora una conferma da parte della Cassazione circa l’apprezzamento del giudice del contenuto della Constatazione Amichevole d’Incidente.

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antifrode
La III sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza nr 1602 del 23.01.2013 si esprime nuovamente sulla valenza probatoria delle confessioni rese con il modulo di constatazione amichevole. E ribadisce che queste non hanno valore di piena prova ma devono essere dal giudice liberamente apprezzate. Vieppiù che nel caso in esame sentite le parti, i carabinieri intervenuti (che hanno provveduto a redigere una sola relazione di servizio e non già il verbale) ed escussi i testi le dichiarazioni attoree non hanno trovato supporto. Anzi sono state sconfessate.
 
 
Di seguito il testo integrale della sentenza
Cassazione III civile del 23.01.2013, n. 1602
Presidente Uccella – Relatore D’Amico
Svolgimento del processo
G.S. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Foggia la R. M. Assicurazioni e C.P. per sentir dichiarare quest’ultimo unico responsabile di un incidente stradale verificatosi tra la sua autovettura e quella dello stesso P. che aveva invaso l’opposta corsia di marcia provocando lo sbandamento del veicolo dello S. ed il suo successivo schianto e capovolgimento.
I due soggetti coinvolti, sul presupposto che la responsabilità era da addebitare esclusivamente al P. , avevano intanto sottoscritto un atto di constatazione amichevole di incidente.
La R.M. chiese rigettarsi la domanda attrice.
Non si costituì C.P. di cui venne dichiarata la contumacia.
La causa fu istruita con prove orali per interrogatorio del convenuto contumace e testi, nonché con l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio.
Il Tribunale di Foggia, con sentenza n. 1543 del 2003, rigettò le domande e condannò l’attore al pagamento delle spese del giudizio in favore della R. M. Assicurazioni.
Sostenne il Tribunale che lo S. non aveva provato essersi effettivamente verificato il sinistro de quo secondo le modalità emergenti dalla constatazione amichevole di incidente, risultando al contrario verosimile che egli, perso il controllo della sua autovettura, avesse violentemente urtato il muretto a secco, ribaltandosi.
Su gravame dello S. , la Corte d’Appello di Bari ha dichiarato la contumacia di C.P. ; ha rigettato l’appello; ha condannato G.S. a pagare le spese del grado in favore della R. M. Assicurazioni.
Ha proposto ricorso per cassazione S.G. con due motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo parte ricorrente denuncia “1. Art. 360, n. 3, c.p.c. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 2, del D.L. 23.12.1976, n. 857; violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e 116 c.p.c. in relazione alla citata disposizione. 2. Art. 360, n. 3, c.p.c. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1371 c.c. nella ricostruzione e interpretazione del contenuto della constatazione amichevole inerente la ricostruzione della dinamica del sinistro – Art. 360 c.p.c. n. 5) c.p.c. – Omessa, insufficiente e contraddittori a motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, con riferimento al contenuto della constatazione amichevole”.
Lamenta parte ricorrente che il Giudice di primo grado non ha riconosciuto alcuna valenza alla constatazione amichevole del sinistro effettuata dalle parti, mentre quello d’Appello, in diritto, ha smentito l’efficacia probatoria del relativo documento e nel merito ne ha ricostruito parzialmente il contenuto, dandone un significato del tutto incongruente e contrastante con la realtà dei fatti.
Lamenta in particolare il ricorrente che la Corte ha palesemente violato le norme sulla interpretazione degli atti, estrapolando il termine “tamponava” e dandogli esclusivamente il significato di “collisione di una vettura con una vettura che la precede”, anziché quello più generale, di “collisione”.

Il motivo è infondato.
Da un lato, quanto al valore della constatazione amichevole ed alla sua efficacia probatoria si deve infatti rilevare che, secondo l’orientamento di questa Corte, che va ribadito, la dichiarazione confessoria, contenuta nel relativo modulo (cosiddetto C.I.D.), resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato e litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve e essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’art. 2733, terzo comma, c.c., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l’appunto, liberamente apprezzata dal giudice (Cass., 25 maggio 2007, n. 12257).
Dall’altro lato, quanto alla interpretazione del medesimo C.I.D., deve ritenersi che essa, costituendo interpretazione di un atto negoziale, è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione (Cass., 30 aprile 2010, n. 10554).
Nel caso in esame l’impugnata sentenza ha analiticamente esaminato il C.I.D. correttamente rilevando che in esso si parla di “tamponamento” mentre nell’atto di citazione si parla di “collisione latero frontale”.
La disamina di tale modulo lungi dall’apportare elementi decisivi a favore dello S. , concorre dunque a rafforzare i dubbi sull’effettivo accadimento della collisione tra l’auto dello steso S. e quella del P. , come riferita dai predetti.
2.-Con il secondo motivo si denuncia “Art. 360, 5) c.p.c. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi (dinamica del sinistro e “se” del sinistro) e decisivi per il giudizio – Art. 360, 3 c.p.c. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.
In riferimento all’Art. 360, n. 3 c.p.c. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e 116 c.p.c. anche in relazione all’art. 5, comma 2, del D.L. 23.12.1976, n. 857; violazione e falsa applicazione della citata disposizione e dell’art. 2054 c.c.”.
Assume il ricorrente che l’impugnata sentenza non ha correttamente valutato l’interrogatorio formale del P. , il libero interrogatorio dell’attore, le deposizioni dei testi e che si è limitata a statuire, senza fornire adeguata motivazione, in ordine ad una presunta scarsa credibilità delle deduzioni attoree e ad una presunta e non motivata obbiettività circa l’incompatibilità dei danni tra le autovetture coinvolte.
Il motivo è infondato.
In tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, infatti, l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico, e ciò anche per quanto concerne il punto specifico se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all’art. 2054 cod. civ. (Cass., 25 gennaio 2012, n. 1028).
Nella specie l’impugnata sentenza è correttamente motivata e non presenta i vizi denunciati, sia in relazione alla valutazione delle testimonianze, sia in relazione alla dedotta incompatibilità dei danni riportati dalle due autovetture con la ricostruzione della dinamica del sinistro proposta dall’attuale ricorrente.
L’impugnata sentenza ha valutato tutti gli indizi e il materiale probatorio e con un iter logico giuridico coerente ha dimostrato che il C.I.D. non è affidabile, mentre da 11 foto presentate dalla R. M. e non contestate dall’attore, risulta che l’auto dello S. è semidistrutta, con danni imponenti localizzati nella parte anteriore sinistra.
L’auto del P. è risultato presentare, invece, lievi danni al paraurti anteriore, lato sinistro, compatibili con una leggera collisione e non con un urto violento, tale da produrre lo sbandamento e il ribaltamento della vettura antagonista.
Ne consegue che, correttamente dal punto di vista logico-giuridico, il giudice dell’appello ha ritenuto che vi fosse notevole incertezza sulla dinamica del sinistro.
La detta sentenza ha altresì dimostrato che dell’incidente e della dinamica parlano solo lo S. e il P. , mentre la collisione non fu rilevata dai testi.
I carabinieri non hanno redatto un rapporto ma una mera relazione di servizio e ciò conferma che nessuna ipotesi di scontro con altra vettura è stata loro prospettata.
Da tali elementi deriva l’insufficienza della prova e la semplice presenza di indizi non univoci, né precisi, né concordanti.
Per tali ragioni il ricorso deve essere rigettato perché si tratta di valutazione degli elementi acquisiti sui quali il giudice dell’appello espone in maniera chiara e logica il suo convincimento affrontando tutte le possibili ipotesi per statuire che vi è un difetto di prova.
In assenza di attività difensiva di parte intimata non deve disporsi per le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e nulla dispone per le spese del giudizio di cassazione.
Depositata in Cancelleria il 23.01.2013